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Un'Economia fondata sull'Amore

04-03-2020 12:17

Edoardo Barbarossa

Il Blog di Èbbene,

Un'Economia fondata sull'Amore

Siamo chiamati a moltiplicare le esperienze di bene, ad essere generativi verso coloro che incrociamo sul nostro cammino

 

 

 

 

 

 

Ascolto con attenzione i pensieri espressi sulla necessità di un cambiamento dei paradigmi economici e rimango convinto che occorra oggi un pensiero orientato al benessere della persona e del pianeta. Senza un’attenzione a queste due componenti, il sistema economico basato sul business non è ribaltabile e forse neppure scalfibile. Cosa vuol dire puntare sull’uomo e curare il pianeta? La mia risposta è che il motore della vita è l’amore e che è la mancanza d’amore che genera ogni povertà ed ogni esclusione. Si può impostare un ragionamento economico sull’amore? Assolutamente si!

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Basta partire da un punto fermo e cioè che il sistema economico attuale produce scarti di ogni genere, materiali ed umani e non ha alcun a preoccupazione rispetto all’aumento di questi scarti, lasciando alle generazioni future il problema della loro gestione. La conseguenza del disastro ecologico e sociale è evidente attraverso gli episodi eclatanti di cambiamento climatico e attraverso le imponenti migrazioni verso le porzioni più “sane” del pianeta.Ma anche nella piccola porzione di pianeta che appare sana, sono evidenti gli effetti dello scarto di persone e cose e l’incapacità di farvi fronte con politiche pubbliche improntate al sostegno assistenziale non all’empowerment.

 

 

Ovvio è che un modello economico che produce scarti e che ipotizza una loro gestione con politiche pubbliche di assistenza è destinato a morire, anzi, è già morto. Ecco che nasce la necessità di operare secondo una logica inclusiva, che comprenda tutti e che rispetti il pianeta. Se davvero tutte le persone avessero l’opportunità di uno spazio vitale per esprimersi, verrebbero meno i presupposti dell’esclusione e maturerebbero i presupposti dell’inclusione.

 

Si può poi disquisire su quale sia l’approccio migliore per una politica economica inclusiva, ma è di tutta evidente che occorra punire lo scarto e premiare l’inclusione. Solo cosi chi ha interesse allo scarto avrà convenienza a cambiare modello…purché la convenienza non diventi uno specchietto per le allodole. Infatti, già adesso le grandi multinazionali ed i grandi mecenati che detengono il potere economico si ammantano di “sostenibilità”, ipotizzando che la si trovi in scelte compensative, ovviamente marginali rispetto al profitto e rispetto ai “danni collaterali”. Questa sostenibilità è forse peggiore del business puro, perché convince con una comunicazione mirata ed autoreferenziale, della bontà dell’azione prodotta.

 

Questa via nuova pretende che ad ogni persona sia data una “chance”, un’opportunità, sia concessa fiducia.

 

Per spiegare questo assunto, occorre un richiamo a come il sistema economico attuale produca un’ampia quantità di scarti umani ed un’altrettanto ampia distruzione del pianeta. La parola chiave è “indifferenza”, il non tenere in alcun conto le conseguenze della azioni compiute, avendo quale unico fine il massimo profitto per se. Tutti i grandi business, oggi soprattutto tecnologici e commerciali, lasciano una scia di negazioni di diritti ed esclusione di chi è più fragile, si fondano sullo sfruttamento delle risorse umane e naturali e, tuttavia, si impongono come “male necessario” per lo sviluppo esponenziale di noi tutti.

 

Anche noi li utilizziamo e li riteniamo necessari, in qualche misura ne siamo schiavi…ma i veri schiavi sono coloro che muoiono letteralmente di fame e che non hanno più risorse da sfruttare per continuare a vivere nei luoghi che abitano.

 

Per queste ragioni diventa indispensabile combattere l’indifferenza e costruire legami di fiducia.

 

In una riflessione del Card. Martini, in cui parla della figura di San Pietro, si getta lo sguardo sulle azioni di Pietro, per concludere – secondo il ragionamento pragmatico - che non merita fiducia, non è stato all’altezza del suo compito, ha abbandonato gli altri, si è dato alla fuga lui stesso, ha rinnegato pubblicamente. L’atteggiamento di Gesù verso Pietro è quello di restituirgli fiducia. Non semplicemente gli dà fiducia, ma gliela restituisce, perché Pietro l’ha persa certamente, l’ha persa anche in se stesso.

 

Come Gesù gli restituisce la fiducia? Non con un interrogatorio sui fatti, ma con un interrogatorio sull’amore. Lo interroga sulla realtà che in Pietro è più profonda e più vera, va a scavare nel fondo di quest’uomo e a cercare ciò che è in lui il meglio, ciò che sa che in Pietro non è mai venuto meno, malgrado tutto.

 

E questa domanda com’è formulata? In greco ci sono due verbi: uno è il verbo filéin, che significa l’amore nel senso di amicizia, di un rapporto profondo di comprensione tra persone. Poi c’è agapào, che è il verbo più usato nel Nuovo Testamento, anche da san Paolo nell’inno della carità, e significa l’amore oblativo, cioè l’amore come dono. Mentre l’amicizia – il filéin – è l’amore di rapporto, di mutua comprensione, l’altro è l’amore che crea comprensione, l’amore che si dona, che è tipico dell’amore divino, che, prima di essere amato, crea la possibilità di amare, rendendo l’altro capace di amare.

 

Ho voluto recuperare questa perla di Carlo Maria Martini, perché – come lui stesso dice – l’agire secondo l’Amore (Agapào) è determinante per assumere responsabilità in campo civile, sociale, organizzativo, politico, imprenditoriale … nulla di tutto ciò può essere fatto senza amore.

 

Dunque l’amore conduce alla responsabilità, che si basa sulla giustizia: la giustizia che significa “diritto”, cioè la possibilità per ogni uomo di godere dei diritti essenziali, connaturati alla vita ed assolutamente uguali per tutti gli uomini. E’ in questa giustizia che io trovo la vera civiltà.

 

Ma attenti a quelle forme di giustizia umana che sono costruite per garantire le differenze sociali: quante norme e quanti comportamenti sono “giusti” per la legge, ma “ingiusti” umanamente. L’amore consente di superare questa distorsione e superare le forme delle giustizie umane, ci porta ad una concezione di giustizia universale, a quella “conversione ecologica” di cui spesso parla Papa Francesco.

 

Un’economia basata sull’Amore, un’economia che ponga al centro l’uomo e il pianeta, che connetta e dia fiducia alle persone, che generi una civiltà fondata sull’equità e la giustizia, non solo è possibile ma è già in atto.

 

Siamo chiamati a moltiplicare le esperienze di bene, ad essere generativi verso coloro che incrociamo sul nostro cammino​. A sviluppare nuove vie di connessione delle buone pratiche economiche, a scommettere sui giovani permettendo loro di sprigionare energie positive.

 

C’è uno spazio significativo per la felicità pubblica, quella che trova nel bene dell’altro anche il mio bene, quella che ci rende utili ma non necessari, cosi che la storia possa superarci senza una nostra inutile resistenza.

 

Perché ciò si realizzi ciascuno di noi deve rinunciare al proprio spazio privato ed entrare nella logica del luogo delle relazioni, con la certezza che dalle relazioni nasca una progettualità nuova per migliorare se stessi e la propria comunità, ed infine l’umanità intera.

 

Fonte: Proximity. il blog di Edoardo Barbarossa su Vita non profit.