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Reddito di Cittadinanza: in una settimana 140mila richieste, ma niente "assalto". Perché?

13-03-2019 00:40

Redazione

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Reddito di Cittadinanza: in una settimana 140mila richieste, ma niente "assalto". Perché?

Intervista a Cristiano Gori, ideatore e responsabile scientifico Alleanza contro la Povertà in Italia

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Secondo gli ultimi dati resi disponibili dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, aggiornati a lunedì 11 marzo, a pochi giorni dall’avvio della raccolta delle domande di accesso al Reddito di Cittadinanza (RdC) iniziata il 6 marzo, i richiedenti sono stati complessivamente 141.109. Di questi 120.036 si sono rivolti agli uffici postali e 21.073 hanno presentato domanda online. Se consideriamo l’enorme attenzione mediatica che l’avvio del RdC ha ricevuto e la massiccia campagna informativa realizzata dal Governo, si tratta di numeri inferiori rispetto a quelli che ci si poteva aspettare. Con Cristiano Gori, docente presso l’Università di Trento e ideatore e responsabile scientifico dell’Alleanza contro la Povertà in Italia, abbiamo provato a fare alcune ipotesi su come mai non ci sia stato un vero e proprio "assalto" al RdC.
Come mai, in questa prima settimana, sono state presentate meno domande del previsto?
Premesso che le richieste non sono state poche e che è impossibile trarre conclusioni dopo un periodo così breve, si possono avanzare alcune ipotesi. La partenza del RdC è oggetto di forte attenzione mediatica. Credo che il timore di finire particolarmente "sotto osservazione" possa aver indotto alcuni a non presentare subito la richiesta. Nelle parole di un operatore:  "molti non sono andati a fare domanda perché temevano di incontrare - alle Poste o ai Caf - qualcuno della televisione". Penso che questo timore abbia allontanato alcuni non in povertà ma che potrebbero cercare di ottenere comunque la misura, ad esempio chi ha un’occupazione irregolare, per paura di essere individuati. Nondimeno, credo che ciò abbia scoraggiato altri che pur essendo effettivamente poveri non vogliono essere riconosciuti o etichettati come tali. Ma si tratta di effetti, a mio parere, destinati ad affievolirsi con il progressivo ridursi dell’attenzione mediatica intorno all’avviamento del RdC. Inoltre, alcuni potenziali utenti privi di una certificazione Isee valida non hanno ancora fatto in tempo a riceverla: si tratta, di nuovo, di un aspetto che con il passare delle settimane diventerà meno rilevante.
Al di là di queste situazioni contingenti, ci sono dei limiti legati al disegno del Reddito di Cittadinanza che ostacolano la raccolta delle domande?
Sì, temo che molti poveri non siano messi nelle condizioni adeguate per presentare la domanda. Non sono infatti previsti luoghi dove le persone siano informate per capire se rientrano tra i beneficiari del Reddito, quali sono i passaggi da compiere al fine di inoltrare la richiesta e come compilare la relativa modulistica. Il Reddito di Inclusione (REI) assegnava queste funzioni di informazione, consulenza ed orientamento ad appositi sportelli presso i Comuni, i Punti unici di accesso, dove si poteva anche fare la domanda. Nel Reddito di Cittadinanza, quest’ultima può essere presentata solo alle Poste e ai Caf. E non sono più previsti gli sportelli per informazione, consulenza ed orientamento presso i Comuni. A livello locale, però, solo i Comuni possono svolgere tali funzioni. Sono loro il punto di riferimento per la popolazione nel territorio, non certo le Poste. Il Governo sinora ha molto lavorato allo scopo di far conoscere l’esistenza del RdC all’intera popolazione, attraverso incisive campagne informative e mediatiche. Non ha, tuttavia, promosso una strategia ugualmente efficace per mettere le persone interessate effettivamente in condizione di presentare la domanda.
Perché, a differenza di quanto avveniva con il REI,  il Governo non ha attributo un ruolo ai Comuni nell’accesso al Reddito di Cittadinanza?
Vi sono due interpretazioni. Primo, la percezione dei servizi comunali come "luogo per gli ultimi". Il Movimento Cinque Stelle ha sempre sostenuto che presentare le domande presso i Comuni faccia sentire i richiedenti dei marginali, li stigmatizzi e quindi li allontani. Dunque, se si vuole raggiungere una fascia più ampia possibile di popolazione non bisogna prevedere un passaggio dai Comuni. Sullo sfondo c’è l’antica diatriba tra chi vede nel welfare comunale una risposta per una parte ampia della comunità - è l’impostazione, ad esempio, della legge 328/2000 - e chi esclusivamente per i più svantaggiati. Seconda interpretazione: si tratta di una strategia di consenso. [...] continua a leggere l’intervista, clicca qui.
Fonte: Percorsi Secondo Welfare

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