«Il mio nome è Riccardo, ho 21 anni. Oggi vorrei raccontare la mia storia, una storia di porte. Alle superiori studiavo per diventare cuoco e mi piaceva cucinare. Ero un adolescente contento: andavo a scuola, avevo gli amici e la famiglia. Stavo imparando ad amare quello che pensavo sarebbe stato il mio lavoro. Poi ho avuto un incidente in scooter. È andata bene perché sono qui a raccontarlo, ma, all’inizio, non ho pensato che fosse andata tanto bene. Infatti ho perso una parte della gamba. In realtà dopo qualche mese, dal punto di vista clinico, ero guarito. Dentro di me però qualcosa era ancora rotto».
Inizia così il racconto di un giovane personal trainer di Torino che, in una calda mattinata di luglio, si appresta a condividere il suo vissuto, a suon di sessioni di aerobica e storytelling [racconto di storie, N.d.R.], con i partecipanti del Diversity Day, un evento dedicato alla diversità, organizzato dalla sede piemontese dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). Riccardo è un giovane con lo sguardo vispo, la voglia di gioire per tutto quello che la vita può offrigli e la determinazione di chi è riuscito a «salvare il suo sogno di diventare personal trainer nonostante i pregiudizi e le difficoltà».
Dice di essere un ragazzo come tanti, ma ha una marcia in più: una volontà di ferro. Si percepisce standogli accanto durante gli allenamenti e ascoltandolo parlare. Qualche volta ha avuto paura, ma non si è mai arreso e oggi insegna ai giovani che hanno subito un’amputazione come lui ad andare avanti. La sua è una storia di porte, quelle che si chiudono e sbattono fragorosamente e quelle che si aprono grazie alla costanza e la fiducia nel prossimo.
La prima porta della sua vita si chiude la sera del 30 ottobre 2014, mentre va a prendere la sua ragazza in scooter. «Ero felice, avevo deciso di saltare kickboxing per portarla al cinema. Ci dovevamo incontrare dopo il suo allenamento di ginnastica artistica e avevo pensato di portarle dei popcorn visto che lei era digiuna. Una volta preparati, sono uscito di casa, ma a metà strada mi sono reso conto di averli dimenticati in cucina e sono tornato indietro. Sotto casa mia c’è un grosso incrocio, proprio quello che mi ha visto travolgere da un evaso dai domiciliari che guidava ubriaco, drogato e senza assicurazione», spiega il giovane.
Succede tutto in un attimo, l’autista non rispetta la precedenza e la sua portiera rotta con una parte di lamiera sporgente sbanda addosso al ragazzo, dividendo a metà il suo scooter e la sua gamba. Lui prova ad alzarsi, vede la sua gamba e si accascia a terra. Un barista accorre in suo aiuto. «Se quell’uomo non si fosse occupato di me, non so dove sarei adesso. Ero sotto shock, lui mi accarezzava per calmarmi, dicendomi che sarebbe andato tutto bene». Riccardo è in pericolo di vita e viene subito sedato. Al suo risveglio, dopo svariati giorni, capisce che le sue giornate saranno costellate di visite, medici e dolore, ma non si dà per vinto e si mette subito alla ricerca di qualcuno che possa aiutarlo e stimolarlo.
«Provate a tornare bambini, quando non sapevate camminare e tutto era una scoperta: questo è ciò che è successo a me». Decide di farsi seguire da Lorenzo Gallone, un personal trainer prima e un fratello ora, con il quale riesce a capire che tutto era possibile. «Quando mi allenava non mi sentivo diverso, non mi sembrava di avere un pezzo mancante, lui mi trattava come una persona normale».
Riccardo crede nel potere degli incontri. No, non quelli che ti fanno svoltare, ma quelli che ti sanno indicare la strada e ti aiutano a leggere ciò che hai dentro. Ed è proprio grazie agli incontri che, una volta uscito dall’ospedale, scopre quanto sia importante la fiducia che il suo personal trainer e il suo tecnico ortopedico ripongono nei suoi confronti e nelle sue capacità.
«Tu, lo dobbiamo fare. Tu ci riusciamo. Tu non molliamo»Tutti, compresi i medici, gli dicevano con uno gioco di parole: «Tu lo dobbiamo fare. Tu ci riusciamo. Tu non molliamo». Riccardo segue i consigli degli specialisti e impara a usare le protesi. «Ne ho cambiate tante prima di trovare quella giusta. Mi sono affidato inizialmente a una fisiatra del Centro Traumatologico Ortopedico di Torino e a un tecnico ortopedico che mi ha fatto sentire da subito in famiglia».
Negli ultimi vent’anni l’evoluzione tecnologica ha fatto passi da gigante e quello che fino a poco tempo fa si poteva considerare come fantascienza, oggi è realtà. L’elettronica è entrata prepotentemente nel settore della protesica: esistono caviglie elettroniche che si adattano a tutti i terreni, ginocchia a comando elettronico in grado di autocontrollarsi a seconda dell’appoggio del piede, consentendo una variazione immediata della velocità.
«Io non sono il mio pezzo mancante». Il tempo passa e arriva il momento della maturità e delle prime scelte importanti: cosa fare nella vita. Prima dell’incidente Riccardo voleva fare il cuoco, ma le cose sono cambiate, lui è cambiato. Ora vuole trasformare ciò che gli è successo nel suo punto di forza e aiutare altre persone come lui. Per farlo è necessario diventare trainer e per questo si iscrive alla Facoltà di Scienze Motorie. Qui, però, trova un’altra porta chiusa. «Le persone e gli insegnanti - spiega - si focalizzavano sul mio pezzo mancante e non su di me. Mi dicevano sempre di fare quello che potevo. No, io faccio quello che devo, quello che voglio come devo. Ho chiuso la porta e ho salvato il mio desiderio».
Pregiudizi e determinazione«All’inizio temevo il giudizio delle persone, non mi sentivo in grado di affrontare lo sguardo degli altri e men che meno la loro pietà. Cercavo quindi di nascondere la mia protesi. Poi, un giorno, ho indossato i pantaloni corti sfoggiando il mio miglior sorriso e ho notato che adesso le persone si concentrano sulla mia capacità di affrontare le difficoltà con ottimismo e la compassione è sparita dai loro volti»: in questi tre anni Riccardo ha conosciuto tante persone sottoposte a un’amputazione alla gamba. «È stimolante - dice - conoscere ragazzi con una storia simile alla mia perché scopro sempre cose nuove, nuovi modi di vivere la sfortuna, anche se non mi piace definirla sfortuna perché sono quello che sono anche grazie a ciò che ho vissuto».