Emozionante, intenso l’incontro ad Assisi di tanti giovani di ogni parte del mondo che vogliono cambiare i paradigmi sociali ed economici, perseguendo un’ecologia integrale.
La traiettoria proposta da Papa Francesco parte dalla considerazione che “l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista e colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi. Vanno insieme: tu spogli la terra e ci sono tanti poveri esclusi. Essi sono i primi danneggiati… e anche i primi dimenticati”.
Papa Francesco censura tutto il processo sociale che alimenta il sistema economico attuale, e si sofferma sul concetto “integrale”, perché non accetta mezze misure, è l’uomo nella sua interezza che deve essere incluso nel sistema economico, a ciascuno va consentito di esserlo.
Questo invito rappresenta una grande e urgente responsabilità per ciascuno di noi, perché non si venga considerati “un rumore superficiale e passeggero" che si può addormentare e narcotizzare con il tempo. Se non vogliamo che questo succeda, siamo chiamati a incidere concretamente nelle città e università, nel lavoro e nel sindacato, nelle imprese e nei movimenti, negli uffici pubblici e privati con intelligenza, impegno e convinzione, per arrivare al nucleo e al cuore dove si elaborano e si decidono i temi e i paradigmi.
Prendersi cura della Terra con questo approccio “integrale” richiede un deciso senso del “noi”, del camminare insieme come popolo e di mettersi al servizio del bene comune, dentro il quale c’è anche il mio bene. È una visione che parte dalla responsabilità individuale, ma che getta lo sguardo sulla condizione universale, partendo dalle cause che generano l’ingiustizia e puntando a nuovi stili di vita. Molti sono i percorsi in essere, tante le traiettorie pensate e agite in ogni parte del mondo.
Nella Comunità Papa Giovanni XXIII è stata determinante la “profezia” del fondatore, don Oreste Benzi, che ha compreso sin da subito come occorresse cambiare radicalmente i paradigmi economici, sostituendo alla società del profitto una società del gratuito. Al grido incessante del “le cose belle, prima si fanno e poi si pensano”, la Comunità ha sperimentato molteplici forme di Economia di condivisione, in cui è centrale l’Ecologia integrale, rispondere al “grido della Terra e al grido dei Poveri”
Oggi la Terra è “fra i poveri”, e siamo chiamati a rendere concreta l'ecologia integrale e mettere in campo azioni concrete. Per questo le nostre realtà di accoglienza, condividendo la vita con i poveri, hanno espanso la condivisione anche al Creato, puntando sul fatto di sentirsi risorsa. Dobbiamo essere capaci, al tempo stesso, di custodire e coltivare la Terra, perché essa ci sia amica, sorella, perché ci doni i suoi frutti e ci permetta di condividerli.
Scegliamo di distribuire i beni prodotti a tutti coloro che ne abbiano bisogno. Scegliamo il consumo critico, acquistando soltanto prodotti che garantiscano il mancato sfruttamento della terra e dell’uomo. Ci prendiamo cura dell’acqua, evitando lo spreco di energia tramite il cambiamento degli stili di vita. Nel nostro modello di condivisione, abbiamo proposto tre percorsi per “prendersi cura della Terra”, che hanno in comune l’approccio ad un’Ecologia integrale.
Per i tre percorsi è fondamentale una logica di progetto di rete costruito su alleanze concrete tra diverse realtà che operano scelte coerenti. Elemento centrale è che questi percorsi hanno dimensioni multiple: educative, formative, curative, di condivisione schietta con i poveri e il creato...spirituali.
Il Primo è il percorso dell’autoproduzione, dell’agricoltura famigliare che diventa elemento integrante della scelta di condivisione con il povero e mette in comune ciò che la Terra dona, in una reciprocità responsabile.
Il GAC= gruppo di autoproduzione comunitaria è una proposta economica: In effetti il principio base della scienza economica è proprio il soddisfacimento dei bisogni dei membri della collettività attraverso l'utilizzo di tutti quei beni utili a questo scopo, ma non liberamente reperibili, detti appunto "beni economici".
E’ una proposta di condivisione: “dividere con” in particolare con i poveri.
Concretamente: sono i membri di una comunità che danno forza o meno al GAC. La Comunità può sperimentare un’economia interna? Un’economia dove i doni vengono scambiati? Si tratta allora di scegliere cosa comperare dentro il circuito comunitario? I produttori chi sono? Possiamo “fare” cose nuove? Per come oggi è la Comunità e la società, siamo bloccati nelle leggi e dalle leggi.
Il GAC: decidere cosa produrre…. Beni essenziali e ce li scambiamo. Allora bisogna mettersi in COMUNICAZIONE e in RETE. Se facciamo questo , facciamo nel senso che produciamo CULTURA. Concretamente….mettiamoci in rete, mettendo in comunione ciò che produciamo per distribuirlo in comunità, nella logica di un’economia piccola, interna, di ciò che è possibile ed essenziale.
Abbiamo in comunità diverse esperienze di Agricoltura Famigliare, che sempre sono collegate alla condivisione, all'accoglienza e all'educazione dei figli: le case famiglia, i Centri Educativi per i Carcerati, le Comunità Terapeutiche, le Capanne di Betlemme, gli orti famigliari, le Pronte accoglienza. In queste esperienze è fondamentale la dimensione contemplativa, la scelta del prendersi cura della Casa comune, del povero.
Così l’esperienza può diventare metodo e scelta vocazionale, coinvolgendo tanti fratelli che in vario modo sperimentano o vogliono sperimentare questo percorso, centrato su 5 pilastri: i metodi agricoli, rapporti col territorio, mercato locale, tipo di condivisione, dimensioni in gioco ( riabilitativa, terapeutica, ri\educativa, inclusiva, formativa).
Il Secondo è il percorso dell’agricoltura inclusiva promosso dalle nostre cooperative sociali, dell’esperienza di condivisione con il povero che mira a rendere produttiva la Terra ed a immettere sul mercato prodotti ad alto indice di sostenibilità umana e ambientale
L'agricoltura sociale è quel tipo di intervento atto all'uso terapeutico delle attività presenti in un'azienda agricola condotte secondo criteri di responsabilità etica e sostenibilità ambientale dagli imprenditori agricoli. Le attività, spesso di tipo manuale, nell'allevamento e nella cura degli animali e in orticoltura possono essere di beneficio sia in ambito educativo sia a persone in particolari situazioni di svantaggio e difficoltà.
«L’agricoltura è sociale perché rappresenta un modello di sviluppo economico e culturale innovativo, perché promuove integrazione, capacità collettive e individuali, produce lavoro e reddito, restituisce felicità, o almeno un senso proprio all'esistenza.» (R. Brioschi, L'agricoltura è sociale). L'obiettivo dell'agricoltura sociale è quello di migliorare lo stato di salute fisico e mentale delle persone attraverso la possibilità del lavoro in campagna; con ricadute positive anche a livello sociale.
L'agricoltura sociale è anche definita come l'aspetto delle multifunzionalità delle imprese agricole, finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento lavorativo, allo scopo di facilitare l'accesso adeguato ed uniforme alle prestazioni essenziali alle persone, alle famiglie ed alle comunità.
L’agricoltura sociale è strettamente legata ad attività agricole volte al soddisfacimento di bisogni come la riabilitazione, il recupero di soggetti svantaggiati attraverso l’interazione con animali e con piante, l’inserimento lavorativo e le attività didattiche. La produzione di prodotti alimentari e di servizi tradizionali si coniugano dunque con la promozione della salute con azioni di riabilitazione e di cura, di educazione, di formazione, di organizzazione per la vita di specifiche tipologie di utenti, di aggregazione e di coesione sociale nei confronti di soggetti maggiormente vulnerabili ma anche opportunità di lavoro per persone a bassa contrattualità. Attraverso tali servizi si mettono in contatto due settori caratterizzati da debolezze storiche, come l’agricoltura e il sociale, per riuscire a diventare un punto di forza.
Prendersi cura di organismi vegetali o animali accresce il senso di responsabilità dell’individuo e ne consolida l’autostima. I ritmi stessi dei processi produttivi agricoli non sono mai incalzanti e tali da generare situazioni di stress. Ma vi è un’altra caratteristica delle attività agricole che rende agri-abili individui con disabilità intellettive e cognitive anche gravi: per quanto possa sembrare banale affermarlo, il prodotto che si ottiene (fiore, ortaggio, olio, uovo, miele) non porta alcuna traccia della disabilità della persona che ha contribuito alla sua produzione. È un prodotto paragonabile a quello ottenuto da cosiddetti “normodotati” e pertanto collocabile sul mercato. Queste condizioni si ritrovano nelle fattorie sociali, realtà agricole nelle quali si persegue un equilibrio tra l’attuazione di processi che generano prodotti agricoli vendibili e l’offerta di un servizio di carattere sociale nei confronti di soggetti deboli. «Gli animali e le piante non discriminano nessuno» (Saverio Senni)
Il Terzo è il percorso dell’agricoltura promossa nelle terre di missione, per dare testimonianza di un sistema economico più equo che abbia come pilastri l'attenzione alla persona e la tutela dell'ambiente.
In modo più o meno strutturato, sono diverse le missioni all'estero della Comunità Papa Giovanni XXIII impegnate concretamente a dar vita a un sistema economico più equo che abbia come pilastri l'attenzione alla persona e la tutela dell'ambiente. In Zambia, per esempio, il Progetto Cicetekelo per il riscatto personale e sociale di bambini e ragazzi che si trovano a vivere in condizioni disperate, in strada e non solo, ha avviato un'azienda agricola che produce a km 0, proponendosi come modello di impresa virtuoso per la comunità locale abituata a consumare beni di importazione a basso costo senza considerarne né la qualità né l'eticità dei meccanismi di produzione.
Tanti missionari hanno inoltre riconosciuto il potenziale formativo del mondo rurale, dando all'agricoltura ampio spazio all'interno dei propri progetti.
Coltivare la terra insegna ad ascoltare il ritmo della natura, a rispettare i tempi della semina e ad avere la pazienza di aspettare il raccolto. Promuove il rispetto delle regole e dell'ambiente perché è da lì che proviene il cibo di cui ci nutriamo. Trasmettere questi valori a ragazzi cresciuti allo sbando, per strada, schiavi dell'alcol e della droga, è fondamentale perché solo acquisendoli potranno partecipare in modo costruttivo alla società.
Questa è la filosofia che sta alla base dei corsi di formazione professionale e dell’orto per ragazzi in prima accoglienza del Progetto Cicetekelo, dei laboratori di terapia occupazionale delle comunità terapeutiche in Bolivia e Brasile e delle attività agricole del centro di Soukpen per ex detenuti in Camerun. In tale ottica acquisiscono nuovo significato anche la piccola fattoria della missione di Chalna in Bangladesh, dove i bambini accolti, molti dei quali affetti da disabilità, possono fare pet therapy con le capre e il progetto Mary Christine che coinvolge persone diversamente abili in attività agricole e di allevamento.
Oltre a formare le nuove generazioni, alcune di queste realtà hanno anche l’obiettivo di generare “utili” da reinvestire a copertura almeno parziale delle attività sociali.
Di per sé sono quindi rivoluzionarie in quanto ribaltano la prospettiva: mentre nel mondo contemporaneo tutto ruota attorno all’economia, in questi casi l’economia viene messa a servizio del sociale. Negli interventi della Comunità all’estero la formazione agricola viene infine spesso proposta come strumento per raggiungere la sicurezza alimentare.
In Zambia il Progetto Rainbow, modello di intervento per bambini in difficoltà e orfani dell’AIDS, organizza corsi di orticoltura domestica per le mamme dei bambini malnutriti in cura presso i centri nutrizionali e microcredito per l’avvio di piccoli allevamenti di capre per famiglie vulnerabili, mentre in Brasile la Casa della Gioventù per bambini e adolescenti in difficoltà coinvolge le famiglie in orti comunitari. Attività economiche a misura d’uomo, che danno autonomia senza sfruttare in maniera intensiva le risorse naturali.
Ci sentiamo in questo modo inseriti nel cammino ecologico ed economico proposto da Papa Francesco e condividiamo il suo richiamo a non poter rimandare alcune questioni. Questo enorme e improrogabile compito richiede un impegno generoso nell’ambito culturale, nella formazione accademica e nella ricerca scientifica, senza perdersi in mode intellettuali o pose ideologiche – che sono isole –, che ci isolino dalla vita e dalla sofferenza concreta della gente.
È tempo di osare il rischio di favorire e stimolare modelli di sviluppo, di progresso e di sostenibilità in cui le persone, e specialmente gli esclusi (e tra questi anche sorella terra), cessino di essere – nel migliore dei casi – una presenza meramente nominale, tecnica o funzionale per diventare protagonisti della loro vita come dell’intero tessuto sociale.