La violenza di genere da una parte, la valorizzazione del territorio dall’altra. Esattamente al centro si colloca Gocce, cortometraggio di valenza sociale prodotto con la regia di Simone D’Angelo. 18 minuti e un messaggio importante da trasmettere agli spettatori, uomini e donne, di cui Eva, interpretata dall’attrice romana Noemi Bordi, si fa ambasciatrice: le donne devono trovare il coraggio e la forza di reagire davanti a un uomo violento. Anzi, di fronte la violenza.
«Il successo del personaggio di Eva ai vari Festival e il riconoscimento come miglior attrice al Noto International Film Festival rafforza ulteriormente questo messaggio», spiega Simone D’Angelo, che proprio in Sicilia sta ricevendo numerosi riconoscimenti. Ultimo, in ordine di tempo, quello per la migliore Fotografia al Muciara Short Film Festival di Trapani.
Il corto si inserisce all’interno del progetto “Gli alberi della vita – Il Molise che cura” presentato dalla Cooperativa Sociale Kairos Termoli in collaborazione con Comune di Termoli, Comune di Guardialfiera, Associazione Nazionale Città dell’Olio, Associazione Italiana di Enogastronomia e Associazione Culturale Lilly, nodo di Prossimità di Fondazione Èbbene, che ha supportato la divulgazione di Gocce.
Gocce è il perfetto connubio tra il “fare sociale” della Cooperativa Kairos per lo sviluppo sostenibile attraverso il mondo olivicolo e la promozione del territorio attraverso i suggestivi paesaggi molisani. Una storia, un’anima, che cura ferite non solo personali, ma anche quelle del genere umano.
«Quello della violenza di genere è un tema che mi era caro da tempo, ci tenevo molto a raccontarlo – chiarisce D’Angelo. Stavo lavorando a una sceneggiatura che toccava proprio questi temi. L’incontro con Kairos, che aveva fatto un’esperienza di agricoltura sociale per il recupero delle donne vittime di violenza, mi ha acceso la scintilla. È nato così il primo corto in Italia che parla di agricoltura sociale e recupero delle donne vittima di volenza attraverso la rievocazione delle radici».
Proprio durante un momento intimo tra pane e olio, gesto che faceva da piccola con i nonni quando viveva nell’uliveto di famiglia, Eva pensa al proprio passato, ragiona sul presente e immagina il futuro. «È quello il momento in cui trova la forza di chiudere un rapporto viziato, tornare al proprio paese e intraprendere un percorso personale di attività in un centro di recupero di donne vittima di violenza attraverso l’ippoterapia e l’agricoltura sociale – spiega il regista, che aggiunge: Ho voluto parlare di violenza psicologica, e non fisica, perché è meno visibile e più difficile da denunciare.
È silenziosa, fatta di piccoli momenti che avvengono tutti i giorni nelle nostre case e che ripetendosi, piano piano, logorano l’autostima e ci fanno perdere bussola della vita. Come è accaduto anche a un albero – un ulivo - colpito da un fulmine. Nonostante questa ferita vive e crea frutto. È storto e contorto, perché quando non riesce a crescere si crea la condizione per arginare l’ostacolo e continuare a crescere ancora. E così dovrebbe fare l’essere umano: guardare le difficoltà e aggirarle con gli strumenti che ha a disposizione. Le radici, il background, la forza che ognuno di noi ha dentro. Come l’ulivo, che riesce sempre a trovare la strada, anche nelle avversità».